Autor: João Guimarães Rosa
Título: La terza sponda del fiume
Idiomas: ita
Tradutor: Giulia Lanciani(ita)
Data: 28/12/2004
João Guimarães RosaI
Questa è la storia. Andava un bambino, com gli Zii, a passare dei giorni nel luogo in cui si construiva la grande cittá. Era um viaggio inventato nel felice; per lui, si svolgeva in circostanza di sogno. Uscivano ancora col buio, l´aria fine di odori sconosciuti. La Madre e il Padre lo accompagnavano all´aeroporto. La Zia e lo Zio lo prendevano in consegna, convenientemente. Ci si sorrideva, ci si salutava, tutti si ascoltavano e parlavano. L´aereo era della Campagnia, speciale, a quattro posti. Gli rispondevano a tutte le domande, perfino il pilota chiacchierò com lui. Il vollo sarebbe durato poco più di due ore. Il bambino fremeva dall´eccitazione, contento de ridersela tra sé, languidamente, con un´aria di foglia che cade. La vita poetva a volte risplendere in uma verità straordinaria. Ache l´allacciargli la cintura di scurezza si mutava in forte carezza, di protezione, e subito um nuovo senso di esperanza: per il non-saputo, il più. Cosi um crescere e scomprimersi – certo como l´atto di respirare – quello di fuggire verso lo spazio in bianco. Il Bambino.
E le cose venivano dolcemente d´improvviso, seguendo un´armonia previa, benefica, in movimenti concordanti: le soddisfazioni prima della conscienza dei bisogni. Gli davano caramelle, gomme, a scelta. Sollecito tanto era bem-disposto, lo Zio gli insegnava come reclinare il sedile – bastava Che premesse la leva. Il suo posto era quello dell´oblò, serso il mobile mondo. Gli passavano riviste, da sfogliare, quante ne voleva, perfino una carta geográfica, e gli indicavano i punti in cui ora e ora se trovavano, sopra dove. Il Bambino le abbandonava, annoiato, sulle ginocchia, e guardava: le nuvole di accumulata amablità, l´azzurro di sola ária, quella chiarità diffusa,il suolo piatto in visione cartografica, ripartito in boscaglia e campi, il verde che trascorreva a gialli e vermegli e a bruno e a verde; e, al di là, bassa, la montagna. Uomini , bambini, cavalli e buoi – così insetti? Volavano supremamente. Il Bambino, ora, viveva; la sua alegria sprizzava tutti i raggi. Sedeva, tutto intero, dentro il soffice rumore dell´aereo: il bel giocattoto laborioso. Ancora non si era reso conto, in effetti, dia ver voglia di mangiare, che già la Zia gli offriva dei sandwiches, e lo Zio gli prometteva le molte cose Che avrebbe giocato e visto, e fatto e passegiato, appena arrivati. Il Bambino aveva tutto in uma volta, e nulla, davanti allá mente. La luce e la lunga-lunga-lunga nuvola. Arrivavano.II
Quando appena vacillava il mattino. La grande cittá cominciava allora a farsi, in uma semilanda, sull´altopiano: la mágica monotonia, la diluita aria. Il campo di atterraggio era a poça distanza dalla casa, di legno, su grossi pali, quasi a penetrare la foresta. Il Bambino vedeva, intravedeva. Respirava forte. Avrebbe potuto vedera ancora più vividamente – le nuove tante cose – quel che ai suoi occhi si pronunciava. L´abitazione era piccola, si passava súbito alla cucina, e a quel che non era próprio uns giardino, piuttosto breve radura, con gli alberi che non possono entrare dentro casa. Alte, liane e orchidee gialle da essi pendevano. Da lì, potevano uscire índios, il giaguaro, leone, lupi, cacciatori. Solo suoni. Uno – e altri uccelli – dai lunghi canti. Fu questo ad aprirgli il cuore. Quegli uccelli bevevano acquavite? Signore! Quando avvistò il tacchino, imperiale, gli dava le spalle, per ricevere la sua ammirazione. Aveva esploso la coda, e si gonfiò, facendo la ruota: il raspare delle ali per terra – brusco, rude, – si era proclamato. Gloglottò, scuotendo il bargiglio denso de chicchi Rossi, e la testa aveva screziature d´um azzurro-chiaro, raro, di cielo e sanhaços: e lui, completo, tornito, rotondoso, tutto in sfere e piani, com riflessi di verdi metalli in azzurro-e-nero – il tacchino per sempre. Bello, bello! Aveva um che di calore, potere e fiore, um traboccamento. La sua ispida grandezza tonitruante. La sua colorita arroganza. Soddisfaceva gli occhi, era da suonare la tromba. Callerico, tronfio, muovendosi sgorgogliò altro gluglu. Il Bambino rise, com tutto il cuore. Ma solo bis-vide. Già lo chiamavano, per la passeggiata.
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Fonte: ROSA, João Guimarães. La terza sponda del fiume. Traduzione di Giulia Lanciani. Milano: Oscar Mondadori, 2003. p. 7-9